L’effetto serra
Che diamine è, il cosiddetto «effetto serra»? E perché preoccupa tanto gli scienziati, e non solo loro, da un’abbondante ventina d’anni? La faccenda è piuttosto complessa. Semplificando parecchio: la Terra è avvolta dall’atmosfera, una sorta di «coperta» (senza la quale la temperatura del pianeta sarebbe parecchio più bassa e la vita impossibile) formata da ossigeno, azoto, minuscole gocce d’acqua in sospensione e vari gas naturali (biossido di carbonio, metano, ossido nitrico).
Dall’epoca della «rivoluzione industriale» (e quindi da un paio di secoli) continuiamo a bruciare quantità crescenti di carbone, petrolio, gas naturali, legname. Anche i gas residui di tale combustione finiscono poi nell’aria, peraltro in compagnia d’una bella serie di sostanze tutt’altro che naturali (il DDT, per dirne una). Risultato? La «coperta» ha cominciato a soffocarci: nell’atmosfera ci sono troppi gas, non riusciamo più a rispedire nello spazio l’energia che assorbiamo dal Sole, la temperatura terrestre aumenta. Gli ecologisti sostengono che noi occidentali siamo colpevoli d’una ingiustizia atroce: abbiamo ottenuto il nostro confortevole tenore di vita buttando fuori questi gas prima di sapere che effetto fanno. Con danno di tutti, perché nel giro di cent’anni - avvertono gli scienziati – i cicli delle piogge cambieranno, le zone più temperate (e coltivabili) si sposteranno verso i poli, i ghiacci si scioglieranno, il livello del mare crescerà, le sue acque copriranno le isole e le coste più basse e popolate.
Un quadro inquietante, certo, che rende sempre più urgente la risposta alla domanda posta dagli ecologisti e dai teorici dell’«effetto serra»: nel dubbio che le emissioni inquinanti abbiano un effetto reale sulla temperatura della Terra, perché non fare qualcosa per ridurle? Subito, prima che sia troppo tardi.
El Niño
I pescatori peruviani l’hanno battezzato «El Niño», cioè Gesù Bambino. Ma, a parte il nome ed il mese di dicembre in cui di solito compare (ogni 2-7 anni), nulla ha da spartire con l’atmosfera natalizia. Riguarda non poco, invece, l’atmosfera intesa in senso metereologico.
Quello di cui si parla, infatti, non è un simpatico pargoletto: è l’anomalo riscaldamento delle acque dell’oceano Pacifico, davanti alle coste dell’America del Sud, che ciclicamente è capace di far «saltare» il termostato del mondo con effetti devastanti sull’economia, la società, le risorse naturali.
Quando si manifesta con una certa intensità, «El Niño» provoca guai climatici su scala planetaria: a quello iniziato nel marzo-aprile 1997 si devono siccità in Australia e in Africa e in Indonesia (dove ha attizzato incendi che stanno divorando le foreste e asfissiando Giacarta), piogge torrenziali in Sud America, inverni miti in Europa e sulla costa atlantica degli USA...
Dopo circa un anno, la forza del «Niño» va attenuandosi. Ora, oltre ai cospicui danni umani e materiali, del suo passaggio ci resta anche una coda polemica. Secondo i fatalisti, è a lui che si deve attribuire il graduale aumento della temperatura della Terra (fra vent’anni dovrebbe essere di oltre un grado, con effetti disastrosi sul livello dei mari e sulle coltivazioni agricole). Secondo gli ecologisti, e secondo quanto ha sancito il vertice Onu di Kyoto (1-12 dicembre), l’incremento termico sarebbe invece il prodotto dell’«effetto serra», del riscaldamento generale provocato dalle emissioni inquinanti dei gas industriali. Il dibattito è aperto.
Intanto, puntuale come sempre, in gennaio il «Worldwatch Institute» americano ha presentato il rapporto annuale sullo stato della Terra e del suo ambiente. In sintesi: l’allarme per i destini del pianeta è sempre alto, ma non manca una nota di speranza. «Se l’economia mondiale continua ad espandersi così com’è strutturata, potrebbe arrivare a distruggere i suoi supporti naturali e a declinare», sostiene il presidente dell’Istituto, Lester Brown.
Tuttavia, se adotteremo le giuste politiche, «s’intravvede anche la possibilità di realizzare la transizione verso un’economia sostenibile da un punto di vista ecologico». Un’economia, cioè, non dipendente dall’inquinamento dell’atmosfera, dal taglio delle foreste, dallo sfruttamento scriteriato delle risorse idriche: «Un’economia del genere non solo è realizzabile, noi crediamo, ma alla fine potrebbe essere più conveniente e produttiva di quella che ci sostiene oggi», quando sono evidenti i segni di «stress» nella sempre più critica relazione tra l’economia e l’ambiente: diminuzione dell’acqua disponibile, erosione dei suoli, scomparsa delle zone umide, collasso delle aree di pesca, deterioramento dei pascoli, crescita dell’anidride carbonica, aumento delle temperature, estinzione di specie animali e vegetali.
«Questi indicatori ambientali», afferma ancora il Worldwatch Institute, «mostrano chiaramente che l’economia occidentale basata sui combustibili fossili e centrata sulle automobili non è un modello accettabile per il mondo».
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